Ci siamo: tra 24 ore sapremo la verità. Sta per concludersi la lunga e intricatissima vicenda di LOST, il serial che ha cambiato - credo per sempre - l'idea stessa di telefilm, puntando sulla qualità altissima della sceneggiatura, della fotografia, della narrazione, creando personaggi forti, mischiando realtà, fiction, filosofia, cultura popolare, religione, mitologia e soprattutto puntando sull'interazione con la comunità mondiale dei fan della serie. Quest'ultimo aspetto forse il più eclatante di tutti: mai fin'ora uno show televisivo aveva radunato attorno a sé una schiera così appassionata di seguaci, pronti a passare le nottate ad aspettare che l'episodio successivo fosse disponibile in rete, ad arrovellarsi su misteri e quesiti, ad ispezionare fotogramma per fotogramma ogni puntata alla ricerca di indizi, prove, citazioni e collegamenti, a setacciare fatti e personaggi per coglierne incongruenze, spunti, agganci con qualsiasi altro fatto o personaggio della serie.
E pensare che all'inizio ero molto dubbioso se seguire Lost. Da quel che leggevo, pareva una banalità: un gruppo di sopravissuti ad uno schianto aereo che si ritrovano a dover sopravvivere in un'isola tropicale. Sai che noia: cosa poteva succedere? E invece.
E invece.
Sono bastati i primi, fenomenali, minuti, per capire che Lost era diverso da qualsiasi altro prodotto televisivo visto fino a quel momento. L'occhio incredulo di Jack che si apre nel canneto spalancava un mondo visionario, suggestivo, mitologico, ma estremamente concreto e pauroso. L'arrivo di Ethan, il primo degli Others a comparire sulla scena, ha aggiunto suspence alla suspence, e dato il via all'interminabile gioco delle scatole cinesi: a mistero seguiva un altro mistero più grande, a domanda irrisolta si rispondeva con un'altra domanda irrisolta, e così via, in un circuito che una stagione dopo l'altra avrebbe appassionato i fan e moltiplicato le teorie per risolvere l'enigma.
Certo, ci sono voluti molti atti di fede (per dirla come Locke) per seguire Lost e non mandare gli autori a quel paese: uno per tutti, il finale della quarta stagione, quando l'Isola è semplicemente... scomparsa, dando il via ai salti spazio-temporali che non hanno fatto altro che aumentare il già altissimo grado di entropia della serie, e dividendo i fan - senza contare gli spettatori persi, che via via si disaffezionavano.
L'ultima stagione, dopo l'ennesimo espediente narrativo dei flash-sideways (la realtà parallela/alternativa creatasi dopo lo scoppio di Jughead), si è rivelata un gradino sotto il resto; l'aspettativa era così alta, l'ansia di sapere qualche risposta così forte, che anche gli svelamenti che pur ci sono stati hanno fatto esclamare più di qualcuno: "Embé, tutto qua?". Sì, tutto qua. Pur sempre di prodotto televisivo si tratta, e gli autori hanno preferito seguire la strada del compromesso, dimenticandosi clamorosamente le trame da loro stessi elaborate, per fornire risposte che andassero bene alla massa; e i fan incalliti, giustamente, se la sono presa.
Ora mancano poche ore al gran finale. La grande carneficina è iniziata già da qualche episodio, personaggi importanti e amati ci hanno lasciato le penne in modi forse un po' troppo sbrigativi. Resta da capire meglio cosa sia effettivamente l'Isola, cosa sia effettivamente il Fumo Nero, cosa c'entra la civiltà egizia in tutto ciò, come la Dharma sia arrivata sull'Isola e se e come le due realtà si fonderanno. L'atto di fede più forte sarà forse questo, in fondo. Accettare la fine di Lost così come ci sarà mostrata. Il viaggio fin qui ne è valsa la pena, dopottutto.
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